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Peng Shuai Paolo

Riesco a scrivere perfettamente il cinese, ma non potrò mai essere un vero cinese, posso parlare perfettamente l’italiano ma non potrò mai essere un italiano.

L'identità nasce dalle storie, e l'esperienza e la memoria individuali non possono essere usate come nomi e concetti astratti, e non possono essere applicati a sé stessi o agli altri, altrimenti risulterebbero appiattiti. L'identità di ognuno muta e storicizza.

Ai diciott’anni avrei potuto ottenere la cittadinanza italiana, ma rifiutai e richiesi il permesso di soggiorno illimitato. Sono stato lontano dal mio luogo di origine per molto tempo, e l’Italia è il paese che mi ha cresciuto ma dovunque io sia mi sento sempre uno straniero, appeso in uno stato intermedio al quale mi sono abituato e che rappresenta allo stesso tempo un’esperienza unica. Definisco questa condizione “la terra di mezzo”. La mia arte è parassita in questo divario invisibile, si nutre del mutamento ed è sempre pronta

 

a adattarsi ad un nuovo corpo ospite; è un progettista instancabile, perché tutti gli esseri viventi affrontano il problema della vita e della morte: devo mangiare oppure devo evitare di essere mangiato. Quindi il nostro cervello ha un’ampia capacità progettuale anche se apparentemente non sembra, e coloro che trovano le soluzioni sopravvivono.

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25 ottobre 2022

«Incontriamo Shuai nella casa-studio che condivide con altri quattro amici artisti a Crescenzago, non lontano dal naviglio Martesana. Si tratta di un open space industriale: un rettangolo di cemento diviso in quattro ampie postazioni di lavoro, un disimpegno adibito a sala da pranzo e quattro porte dietro le quali vi sono le camere da letto. 

Ci sediamo attorno ad un grande tavolo in ferro e marmo dove ci offre del Pu’Er, un particolare tè post fermentato che ha portato dalla Cina e, dopo qualche tazzina, ci informa delle capacità ubriacanti di questo tè causate dalla fermentazione. 

 

Shuai ci racconta della tesi sull’economadismo che ha appena terminato di scrivere con il docente Riccardo Venturi per la laurea in Visual Cultures e pratiche curatoriali. È proprio grazie alle letture svolte durante il percorso accademico – come i testi di Donna Haraway e Dipesh Chakrabarty – che la sua ricerca artistica, da sempre legata al tema della migrazione e dell’unione di diverse culture, si è legata all’ecologia e, nella politica delle piante, ha trovato una nuova strada. La migrazione, infatti, non è un fenomeno prettamente umano: tutti gli esseri viventi sono migranti. Le ricerche di Shuai indagano l’aspetto biologico-politico della migrazione, volontaria o involontaria, delle piante. 

 

La formazione di Shuai è prettamente artistica, le sue ricerche infatti non hanno ambizioni scientifiche, ma, partendo dallo studio e dall’osservazione, vogliono aprire a nuovi spunti di riflessione. Uno dei suoi recenti studi riguarda la storia della migrazione della soia, importante per comprendere la migrazione cinese. Ci spiega che la soia è stata importata per la prima volta dalla Cina al Giappone, in seguito ha invaso il continente americano e oggi alcuni biologi stanno studiando come integrare questa pianta nelle coltivazioni nordeuropee. Nella sua tesi un intero capitolo è dedicato proprio a questa pianta e nel suo studio ha raccolto diversi tipi di semi di soia che saranno destinati a nuove opere. 

 

Un’altra ricerca recente di Shuai è quella sui campi agrari cinesi che producono verdure cinesi in Italia: si tratta di campi informali che non sono stati registrati, ma vendono in Italia da oltre vent’anni e da qualche anno stanno ricevendo critiche mediatiche, per questioni politiche più che agrarie. Grazie a queste ricerche è entrato in contatto con l’artista italiano Leone Contini, con il quale ha instaurato un rapporto di dialogo e di continuo scambio di idee.

 

Per ora, la maggior parte dei lavori in questo senso sono documentativi. L’artista passa molto tempo a contatto con la natura: immerso nei paesaggi dell’Oltrepò Pavese, dove vive la sua fidanzata, in quelli di Reggio Emilia, dove vivono i suoi cugini, e in quelli tedeschi perché i genitori vivono vicino ad Hannover. In questi paesaggi raccoglie diversi materiali naturali che popolano il suo studio: ci mostra i diversi tipi di semi di soia e le sue radici che crescono in simbiosi con la rhizobia (un batterio benigno che nutre la pianta e rende fertile il terreno), le piante di tifa che ha raccolto nell’Oltrepò, dove le ha conosciute come Batacù (termine dialettale); alcune verdure cinesi come la Pu Gua (zucca ciense), ma anche la cucuzza, una particolare zucchina lunga siciliana, diverse pietre e rocce provenienti da diversi paesaggi, alcuni legni fossili, funghi essiccati dalle forme più disparate e alcuni rizomi,  come l’arundo, che con la loro crescita orizzontale richiamano le teorie di Deleuze e Guattari. Proprio da una radice di arundo, l’artista ha ricavato uno strumento simile a quello che utilizzava il nonno, che era agricoltore e sciamano religioso, per consultare il divino in merito a decisioni importanti e intende usarlo per ragionare sul tema della libera scelta. 

 

Shuai è una persona molto tranquilla e riflessiva e nella natura ha ritrovato la calma e l’entusiasmo dello stare a contatto con gli altri esseri viventi, lontano dalla frenesia ed il grigiore cittadini. La calma e la tranquillità si respirano anche nel suo studio, dove ogni elemento ha una storia ed un significato importante per l’artista. Shuai cerca il più possibile di lavorare con materiali organici, allontanandosi da quelli industriali che utilizzava in precedenza. L’avvicinamento alla natura ha cambiato il suo modo di fare arte e lo ha portato a ripensare alle sue origini rurali da cui aveva preso le distanze una volta arrivato in città. Centrali nel suo lavoro sono i paesaggi contadini in cui ha vissuto da bambino e la storia della sua famiglia. Proprio sulla genealogia della famiglia Peng si basa la mostra Geneulogia, a cura di Valentina Pedone e Arendt Speser, che inaugurerà il 6 giugno 2023 presso la Galleria Atelier Andante di Roma, basata sulle documentazioni che raccontano oltre 500 anni della sua famiglia.»

Marta Chinellato 

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