Matteo Urbani

"La tecnologia come apparato attivo-generativo, il progresso antropico, e le conseguenze della loro interazione sugli ecosistemi circostanti.
L’estremo più comune raggiungibile è la mera accettazione dell’ecosistema instaurato, che poi evolve di nuovo, si sedimenta, sino a diventare una scatola nera dalla quale attingere solo la sua funzionalità.
La velocità dei cambiamenti tecnologici è direttamente proporzionale a quella dei mutamenti geomorfologici, quest’ultimi molto più riconoscibili attraverso le nostre impressioni sensibili e razionali.
Il risultato si traduce in un gap passivo tra chi fornisce determinate soluzioni, o visioni, ed i fruitori finali di quest’ultime.
La ricerca si concentra su ciò che c’è oltre il semplice utilizzo di una scatola nera, attraverso la messa a nudo della stessa, o semplicemente rendendola familiare, semplificandola,
per riportarla alla sua dimensione originaria. In questo modo si può ristabilire un ponte di comunicazione, speculazione e riflessione all’interno del gap, facendolo tornare attivo ed aggettivandolo di percezione sensoriale e logica."

Martedì 4 luglio 2023
Ci troviamo nello studio “Lavanderia6”, uno spazio condiviso da dodici artisti. Matteo ci racconta la difficoltà nel gestire uno spazio condiviso da dodici personalità artistiche molto diverse che vivono lo studio in modi differenti. Lui, ad esempio, non lascia mai opere installate nello studio, lo utilizza principalmente per sperimentare, in maniera funzionale, idee che ha già definito altrove. Lo studio è inteso quindi come luogo di pratica, sperimentazione e archiviazione di materiali che accumula in scaffali e scatoloni. I materiali che abitano lo studio sono principalmente tecnologici: cavi, schede madre, batterie, ventole di raffreddamento, marchingegni elettronici vari e disparati che l’artista assembla ad altri materiali, industriali ma spesso anche organici, per la realizzazione delle sue opere.
L’artista, dopo aver conseguito una laurea in ingegneria energetica e nucleare e aver lavorato come ingegnere per diversi anni, si è iscritto all’Accademia di Belle Arti per coltivare il suo interesse per la pittura, ma qui ha conosciuto meglio le avanguardie artistiche e le teorie che alimentano il dibattito artistico contemporaneo. L’incontro con la figura di Joseph Beuys è stato quasi folgorante, ci racconta di aver gettato tele e pennelli per lavorare con i materiali più disparati, soprattutto tecnologici, portando la sua esperienza e le sue conoscenze ingegneristiche all’interno della sua pratica artistica. A lungo ha ritenuto la forma mentis data dal suo percorso quasi controproducente nella relazione con l’arte contemporanea, ma questo momento di svolta lo ha portato ad accettarla e applicarla al lavoro artistico. Proprio la sperimentazione con i materiali ha accelerato questo processo di coesione tra l’esperienza artistica e quella invece ingegneristica, mentre lo studio teorico su temi come il cambiamento degli ecosistemi, o l’estrazione di risorse prime per il sostentamento di apparati tecnologici, ha portato a nuove riflessioni critiche che derivano anche dal continuo confronto con altre esperienze artistiche contemporanee che cercano un dialogo tra arte e scienza.
Gli studi e le ricerche dell’artista si sintetizzano perfettamente nelle sue opere che evocano, e talvolta smascherano, gli interventi antropici sugli ecosistemi naturali. Le prime opere sono di natura installativa e spesso coinvolgono altri sensi oltre alla vista, come l’olfatto o l’udito, e sono caratterizzate dal disvelamento dei materiali elettronici che solitamente vengono nascosti. Nell’ultimo anno le sue ricerche si sono concentrate sul digitale con la modellazione 3D, la creazione e il montaggio di video e, in seguito alla loro democratizzazione, l’utilizzo delle intelligenze artificiali.
presso il Meet, Centro di cultura digitale di Milano, ha avuto modo di conoscere altri artisti che si stanno approcciando all’AI e insieme stanno ragionando sulle potenzialità di questo strumento e sul rapporto tra creatività e digitale. Matteo vede l’AI come un meta-mezzo perchè è uno strumento nelle mani dell’artista, basato sulla raccolta di dati già esistenti che vengono rielaborati fornendo nuove visioni “immaginate” dal software. Questo processo permette un’oggettificazione dei dati che altrimenti rimarrebbero solo nella visione della macchina.
Il progetto futuro dell’artista è quello di unire le ricerche e le sperimentazioni con le intelligenze artificiali a una dimensione ambientale/installativa e noi non vediamo l’ora di vedere quali saranno i nuovi progetti.
Marta Chinellato







.jpeg)
