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Lucrezia Costa

"La mia pratica è come un nastro di Möbius: tutti gli interessi si stratificano secondo una sequenza che si ripete ma non è mai esattamente la stessa, c’è sempre una piccola ma percettibile differenza. In questo nastro è possibile individuare due temi principali che sono il rituale, da intendersi come il complesso di norme che regolano un atto sacrale, e il parallelismo tra la stratificazione geologica e quella mentale o emotiva.

 

Addentrandosi in questo nastro di Möbius ci sono l’interesse per l’architettura vernacolare e le nuove forme di architettura sostenibile attraverso lo studio dell’oikos, strettamente connesso ad un altro tema della mia ricerca che riguarda la scomodità fisica e mentale che deriva dall’uscire dalla propria comfort zone, ma anche lo studio del tempo sospeso e percepito e molte altre nuances che si rincorrono ma che sono sempre connesse ad un costante esercizio di percezione."

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Mercoledì 12 luglio 2023

«Siamo da Lucrezia, in uno studio che condivide con altri artisti all’interno di uno spazio industriale nella periferia milanese. Qui l’artista ci accoglie con musica ambientale e diversi lavori esposti e semi-allestiti. Immediatamente la nostra attenzione viene colta da maschere nere dall’aspetto animale, disposte in modo ordinato sul tavolo centrale. Questa serie di sculture, trentatré ovvero tre rampe da undici gradini , tratta del dolore: dopo anni e diversi lavori in cui Lucrezia si è occupata delle proprie ferite interiori, durante il 2022 si è resa conto di essere pronta ad accogliere e rendere tangibile e visibile ciò che più turba le persone intorno a lei. Le maschere diventano così un archivio del dolore, che non ha la pretesa di raccontare ferite in maniera individuale, ma di collettivizzarle. Per il momento ha creato circa settanta elementi, ma ne ha in programma molte altre, e il suo sogno è quello di esporle tutte insieme all’interno di una stanza, dove le superfici sono completamente ricoperte da questi oggetti neri e cupi.

 

Lucrezia, in seguito a studi legati alla fotografia, si è interessata a una ricerca che è più materica e fisicamente malleabile. Ci racconta che “muovere le mani” è la cosa che riesce a tenerla tranquilla, infatti è facile osservare come nelle sue opere siano presenti elementi caratterizzati da una forte matericità. Della fotografia spiega che le è rimasta un’ossessione formale e compositiva che si può ritrovare all’interno dei suoi lavori di video arte e nella metodologia di documentazione e archiviazione delle sue opere. Diversamente, con i lavori più scultorei, le interessa la ricerca dell’errore e dell’incertezza.

 

Si può dire che Lucrezia e le sue opere siano caratterizzate da una forte sensibilità emotiva, che si unisce ad una conoscenza e un sapere profondo di ciò che tratta. Ci parla ad esempio della crepa, un concetto cardine della sua poetica, che ritorna spesso all’interno delle opere come qualcosa che penetra nel profondo, rivelando e modificando irreversibilmente l’elemento in cui si è creata. Se nei suoi primi lavori questo elemento aveva una presenza molto figurativa e riconoscibile, con il passare del tempo, e attraverso una idea differente di rappresentazione, la crepa è ritratta in modalità meno didascaliche. Ciò si può osservare nelle maschere, dove il concetto di crepa è riconoscibile nei punti di colore e di luce che spiccano sulle superfici nere della creta.

 

Lucrezia Ci racconta che le influenze che hanno formato e modificato la sua pratica sono differenti, ma, prima tra tutte, è la figura di suo nonno, falegname, che attraverso il supporto e la conoscenza della materia, ha portato all’interno del lavoro dell’artista una componente più manipolativa dei vari elementi, simile alla manifattura. A livello prettamente artistico i due soggetti storicizzati che più di tutti hanno modificato e formato la sua pratica sono Joseph Beuys e Robert Smithson. Di Beuys ha fatto sua la ritualità, alcuni materiali come il feltro, e la collettivizzazione delle esperienze, mentre di Smithson ha colto e osservato la stratificazione fisica, materica ed emotiva, e un interesse per quelle opere che nonostante partano dai gesti dell’artista verranno modificate dal tempo e dallo spazio senza che il creatore ne abbia il controllo.

 

Un’altra grandissima fonte di ispirazione è l’architettura vernacolare. Lucrezia è molto legata al sapere e alla conoscenza di un determinato territorio custodita delle persone che lo vivono. Una conoscenza basata sull’esperienza e il tentativo: portare alla semplificazione mediante un processo che comprenda l’errore. Per il progetto di tesi ha infatti studiato l’architettura vernacolare, ha osservato la casa non solo come luogo ospitante, ma come ambiente che necessita di cure. Il concetto di conoscenza dei materiali, la necessità di prendersi cura, la presenza di una ritualità e il processo di semplificazione, sono tutte componenti che caratterizzano fortemente il lavoro di Lucrezia e che si possono riconoscere nella maggioranza delle sue opere. In conclusione la semplicità visiva, sprigionata dalle forme e i materiali poveri e minimali utilizzati dall’artista, non è che il mezzo per rivelare la profondità delle sue riflessione mediante un’atmosfera rituale e collettiva.»

Sandra Beccaro

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