top of page

Gaia Michela Russo

Il sistema dell’arte e l’arte stessa, a mio avviso, sono arrivati ad un momento di stallo e di profonda crisi, un punto di rottura in cui (come nella nostra stessa società) risulta necessario ricollocare l’individuo-artista all’interno della comunità. Mettere l’arte e l’artista a servizio di quest'ultima è lo scopo principale di tutto il mio percorso, della mia pratica e della mia poetica. L'arte è un linguaggio e, come tale, è in grado di rimodellare la realtà. Non è possibile dunque trascurarne il valore sociale, politico, educativo e terapeutico.

photo1684772503.jpeg

Giovedì 27 ottobre 2022

«È una mattina di ottobre e siamo a casa di Gaia, dove si trova il suo studio. Dopo averci mostrato la casa andiamo in camera sua, luogo in cui l’artista realizza ed elabora le sue opere, qui ci sediamo attorno alla scrivania e Gaia ci offre una tisana che beviamo da graziose tazzine vintage. Sono rovinate e tutte diverse tra di loro perché, Gaia ci spiega, sono pezzi che la madre non può utilizzare per la vendita.

La stanza colpisce fin dal primo momento per la quantità e la varietà di elementi che contiene: il tavolo, i muri e la libreria straripano di oggetti interessanti e particolari. Questo è il suo luogo, e il suo segno traspare da ogni angolo. Le opere che ci mostra sono sparse all’interno dello spazio: alcune esposte - quasi allestite -, altre nascoste, rendendo complesso distinguere i suoi lavori dal resto. Lo spazio si trasforma così in un grande contenitore di sue creazioni. Ad attirare particolarmente la mia attenzione sono i numerosi mazzi di fiori secchi sparsi per tutta la stanza; Gaia ci racconta che ama i fiori e che farli seccare è il suo modo “per non farli andare via”, e osservandoli la loro bellezza sembra realmente senza tempo.

Dopo aver studiato scultura per tre anni, Gaia sta svolgendo il biennio di terapeutica artistica a Brera: la necessità di avvicinare il mondo all’arte e di connettere l’arte al mondo l’ha portata ad avventurarsi in questa specializzazione. Il suo sogno è quello di aprire una scuola, e nelle sue opere si può osservare come spesso le modalità facciano riferimento a concetti pedagogici. Tra le sue ultime ricerche si trovano infatti scritti quali: La Città Educante di Mottana, Fantasia di Munari e Il Maestro Ignorante di Rancière. Le tematiche care a Gaia si concentrano invece su questioni collettive come il femminismo e il corpo della donna, servendosi frequentemente di eventi e dettagli personali per affrontarli e sviscerarli.

È facile definire Gaia un’artista completa, in quanto spazia ed esplora i linguaggi dell’arte più disparati: lo studio del canto, della recitazione e della scrittura sono solo alcune delle modalità da lei utilizzate. Nonostante una continua e fervida necessità di reinventarsi, ci spiega che i suoi punti di riferimento rimangono quegli artisti storicizzati e quasi classici che hanno fatto la storia dell’arte, tra i quali spiccano Marina Abramovich, Maria Lai e il pittore Lucian Freud.

Sensibilità e conoscenza sono i due aggettivi con cui sento di definire l’artista e le opere che ci mostra. La sensibilità che emerge dall’utilizzo dei materiali e del linguaggio non contrasta con la consapevolezza e la padronanza delle tematiche e dei concetti a cui attinge, al contrario, porta ad un livello di concretezza che aumenta le chiavi di lettura dei lavori.

Conosco Gaia da diverso tempo, e ogni volta che entro in contatto con le sue opere mi stupisco della delicatezza che esse sprigionano. Una delicatezza che ha molto a che fare con l’intimità, sensazione che pervade l’atmosfera nello studio mentre ascoltiamo il canto dell’artista presente in alcune delle sue opere video, come gaiagalatticainquarantena e My man. Circondati da mazzi di fiori secchi e bevendo da compromesse tazze di tè la sensazione è di rischiare di incrinare qualche equilibrio.

Così come accade con alcune delle opere dell’artista da maneggiare e sfogliare: foto stampate su vecchi scontrini, leggeri e fragili, che, come le tazze e i fiori, hanno fatto propri la bellezza dello scorrere del tempo.»

Sandra Beccaro

bottom of page